Piena di entusiasmo e di voglia di sapere (sapere come, non sapere cosa), ho diretto le mie ricerche sulle scuole di terapia familiare. Ho fatto diversi colloqui in alcune di esse, in ultimo nella Scuola Romana di Terapia Familiare. Dulcis in fundo, è il caso di dirlo. Già durante le ricerche via web avevo indirizzato la mia preferenza verso di essa, attratta dalla maggiore quantità di ore di training rispetto a quelle di lezioni teoriche. Avevo bisogno di sperimentarmi, di vivere ciò che studiavo direttamente sulla pelle e nello stomaco, e i training mi sembravano i più adatti allo scopo. La scelta definitiva è avvenuta solo il giorno del colloquio di selezione.
Innanzitutto sono stata conquistata dalla sede. Non appena sono entrata ho avuto la sensazione di fare ingresso nella casa di qualcuno, non in un’“accademia”, e la cosa mi sembrava fare il paio con il fatto che lì si trattasse di famiglie. Quell’ambiente caldo e accogliente mi sembrava pieno di memoria e privo delle sovrastrutture legate a quelli che io ho sempre considerato criteri di “apparenza” tipici delle sedi di formazione: ordine, asetticità, freddezza, luci al neon, cattedre, sedie disposte in file lineari. Avevo la sensazione che lì regnasse una sorta di caos creativo, (ora lo definirei un ordine diverso creativo) con i mobili storti, le luci calde, senza cattedre, con le sedie disposte in circolo, era come se quel luogo rompesse con tutto quello a cui ero abituata e che mi aspettavo di trovare, traghettandomi verso una dimensione spaziale e psicologica nella quale io potessi rispecchiarmi e stare comoda. Le segretarie mi hanno fatto accomodare in una sala d’attesa e dopo pochi minuti il Prof. Saccu in persona è venuto a chiamarmi.