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“La regina dei ghiacci si veste a pois”

diploma 01 maggio 2020“Ogni viaggio inizia con un passo”, e spesso si prendono strade imprevedibili.

All’inizio del training il controllo e la verità mi sembravano l’unica strada da percorrere verso quello che pensavo potesse avere il valore di un senso assoluto. La mia capacità di razionalizzare, il mio emisfero sinistro, mi stavano accompagnando, potenti, in quello che mi sembrava un irrinunciabile sostegno. Guidata da, e alla continua ricerca di, fili logici che corrispondessero all’assoluto criterio della “Verità”. La scuola di formazione in psicoterapia rappresentava nelle mie aspettative un posto dove “lavorare” per trovare quella verità. Il gruppo sarebbe stato testimone partecipe di questo processo. Non avevo idea che il gruppo, diventando “gruppo di appartenenza” avrebbe rappresentato quella che viene definita “matrice”, che ha reso possibile il vivere un’esperienza emotiva, attraverso la quale è passato il mio processo di apprendimento. Sorprendentemente differente da quello che mi sarei aspettata.

(…) Un viaggio, in questa“complessità”, che mi ha messo costantemente di fronte alla possibilità di incontrare il “nuovo”, che intendo qui come possibilità di osservare e, soprattutto, rapportarmi a quello che ho osservato in modo “nuovo” e non solo cercando quelle verità coerenti con l’idea che ho di me, sicuramente identitarie ma spesso non foriere di nuove opportunità.

L’opportunità a partire dalla famiglia

 

(...) Il mio processo a partire da questa famiglia ha avuto invece tempi più dilatati, proseguendo per circa i tre anni successivi al giorno in cui ho preso la cartella. Dalla reattività nel tempo delle sedute, alla possibilità di far sedimentare temi forse ancora non del tutto contenibili, all’opportunità e la scelta di mettere nuovamente in moto il pensiero “attivo” su questo processo, attraverso la supervisione, diversi confronti informali, un lavoro più interno nel riguardare le sedute, nel osservarmi, nel osservare il mio sguardo, per arrivare infine alla chiamata alla famiglia. Il processo della famiglia verso una maggiore possibilità di contenimento. I genitori di contenere il figlio, il figlio più libero dal ricorrere all’enuresi per restare in quella “piscina di miele”, libero di proseguire nel processo di crescita da “bambino a ragazzino”. Il mio processo verso una maggiore possibilità di contenere, l’imprevedibilità, gli aspetti di libertà, il disordine, la consapevolezza di non sapere e che non potrebbe essere differentemente perché qualcosa di nuovo possa accadere.

(…) Un percorso quindi verso la possibilità di assumere uno sguardo relazionale, che tuttavia includa l’individuo. Un percorso, inoltre, verso la ricerca del “sè”. Consapevole di non essere un osservatore neutro, ma coinvolta con la mia storia, per poter entrare in contatto con la famiglia devo mettere in gioco una parte di me. Per questo, nel corso del processo ho potuto attraversare l’esperienza di incontrare le mie emozioni e le mie risonanze, per poter sviluppare una capacità di elaborare quelle che sorgono di volta in volta nel corso dell’incontro.

Per fare questo l’emisfero sinistro, deputato all’elaborazione delle logiche e alla comunicazione su codici, modelli, teorie ed epistemologie, non è sufficiente. E’ la possibilità di scoprire e utilizzare in terapia l’emisfero destro, unico per ciascuno, che “permette” di creare metafore, di accedere alla fantasia e al gioco. Questo è stato un altro aspetto del mio percorso di formazione importante e difficile, e tuttora molto attuale.

Coltivare l’unicità, poco logica dell’emisfero destro, la sua creatività e affidarmi a ciò che di volta in volta sorge a partire dall’incontro è una delle “sfide” più grandi per me, ancora molto affezionata all’emisfero sinistro, eppure molto più curiosa e aperta al regno dell’emisfero destro.

E’ stato il processo, dall’esperienza, passando per la confusione, tornando all’esperienza, includendo la teoria, ancora confusione, tensione e tentativo di chiarimento, a volte soddisfatto, a volte non del tutto, ancora esperienza, confronto, spazio di lavoro, nel gruppo (sia quello “ufficiale” nel training che nei confronti più informali tra “sorelle”) in terapia personale, in supervisione, incontrando le famiglie, che hanno reso questi concetti, che ho trovato a riassumere in poche righe, materia viva in me, motore per il cammino di esplorazione ed esperienza del mio essere psicoterapeuta in formazione.

(…) Tuttavia posso sentire il mio processo avvenire, osservare il mio movimento e scegliere dove collocarmi. E quindi ho avuto l’opportunità, ancora oggi non sempre facile, di “mollare” e vedere ciò che è nonostante non sia ciò che vorrei o che mi aspetto. Questa è una ridondanza nel mio percorso di formazione e nel percorso con la famiglia e nel rivederlo a distanza di tempo posso osservare questi movimenti, alcuni dei quali illustrerò nel corso dell’elaborato. Nell’osservare quello che accade mentre “non penso” stia avvenendo un processo, torna (pre)potente la curiosità sul cambiamento nel processo terapeutico, nel senso di un pensiero su ciò che promuove processi trasformativi, esplorando il senso di questo per me.

Se nel corso del mio percorso ho spesso, soprattutto all’inizio, lavorato per trovare risposte affinché “tutto tornasse”, oggi mi accorgo di quanto questo fosse “al servizio” di una mia sensazione o un mio timore di non poter contenere ciò che non tornava, tendendo cosi a saturare il campo, chiudendo quindi la possibilità di movimento. Oggi sento di poter contenere di più anche ciò che “non torna” del tutto, potendo così essere maggiormente presente in una relazione insatura in cui lo spazio di movimento può promuovere processi trasformativi.

Credo di poter affermare che questo è potuto accadere perché ho potuto attraversare alcune delle mie ombre in questo processo, osservando come non rappresentino aspetti da cui scappare o da dover “risolvere” ma come possibilità di includere anche le mie ombre nel mio sguardo, consapevole che se non fossero tali non potrei attraversare il processo dell’illuminarle. Considerandole quindi parte, inevitabile, della mia soggettività e solo a partire da questa, che include le ombre, posso essere in una relazione (con me stessa, con l’altro, con le famiglie) che sia “al servizio” della vitalità e della promozione di processi trasformativi.

Osservando me, terapeuta in formazione, posso accogliere quanto questo processo sia stato un processo di crescita, lungo il quale continuo a camminare. Più umana e “disordinata”, consapevole delle mie ombre, della possibilità di vederle, della loro presenza anche quando non le vedo, nel cammino verso una sempre maggiore differenziazione, sempre nel cammino verso il mio “senso”. La famiglia “Sole” è stata una grande maestra in questo mio percorso.

Il cambiamento, a partire dal mio sguardo

 

Nello scrivere questo elaborato mi sono ad un certo punto resa conto che in ognuno dei tre capitoli, ho fatto prevalere aspetti internalizzati a partire dalla relazione con i tre diversi docenti.

Il primo capitolo, che racconta il mio viaggio lungo il cammino della scoperta della mia soggettività e della possibilità di accogliere l’indistinto, come terreno fertile dal quale possa di volta in volta nascere un pensiero distinto (e il modo in cui ho prodotto questo elaborato ne è per me la viva testimonianza), mi porta con il pensiero alla Professoressa Cotton, dalla quale mi sono sentita accompagnata e sostenuta, anche con pungente fermezza, attraverso le mie ombre.

Nel secondo capitolo ho provato a riflettere sul mio modo di osservare e sulla possibilità di includere sempre di più un pensiero che tenga conto di quanto la possibilità di attivare processi trasformativi nasca da un profondo rigore a partire da un criterio interno. Ho provato a raccontare un pezzo di questo viaggio verso il mio criterio e questo procedere mi fa sorgere l’immagine del Professor Bucci, presenza costantemente “perturbante” e tuttavia sempre contenitiva. Queste righe rappresentano per me una prima possibilità di mantenere viva la riflessione sul mio pensiero e sul mio modo di pensare. Nel corso della ricerca per trovare una direzione al percorso che volevo seguire in questo elaborato ho scoperto la possibilità di appassionarmi al mio pensiero. La possibilità di affezionarmi al mio “essere pensante”, cercando di mantenere viva l’attenzione sul rischio di affezionarmi al mio pensiero più che al mio pensare, scegliendo di coltivare il movimento che c’è nel pensare piuttosto che seguire l’ammaliante richiamo dell’idea di

una verità.

Il terzo capitolo, infine, è stato accompagnato dalla figura del Prof. Saccu, con la scomodità che ho spesso sentito all’interno di una relazione che mi ha offerto la possibilità di illuminare aspetti che sentivo cosi distanti da me da essere in realtà tra i nodi più significativi. Un capitolo scritto nella possibilità di integrare gli aspetti più scomodi, illuminata dalla creativa presenza sempre fervida del Professore, con il quale ho potuto sperimentare la portata del “Cartago delenda est!”. Considero questo elaborato una breccia nella mia Cartagine.

Ho infine osservato come nel corso dell’elaborazione sia cambiata l’idea iniziale su questo elaborato. Considero questa una testimonianza del processo avvenuto nel corso dell’elaborazione e della scrittura della tesi e ancora di più del processo avvenuto in questi anni. Posso oggi darmi la possibilità di stare con quello che c’è anche se non corrisponde alla mia idea iniziale. Ed è così che da “regina dei ghiacci”, oggi posso scegliere anche di indossare quel “vestito a pois”. Credo inoltre di aver ad un certo livello mantenuto fede al progetto iniziale, raccontando un po’ del mio cammino dall’idea del controllo e verità e di cambiamento legato ad aspetti di controllo ad una possibilità di essere in un contesto vitale in cui sia favorito il movimento a partire dalla propria soggettività e come questa trasformazione mi abbia attraversato. Se, utilizzando ancora una volta le parole che ho

ascoltato dal Prof. Bucci, la formazione all’interno della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare è tesa a “coltivare un terapeuta che sorga dalla nostra soggettività”, sento che questo seme è stato gettato.

Con profonda gratitudine verso tutti coloro che hanno contribuito a costruire questo fertile percorso,

Maria Chiara Marconi

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