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Riflessioni allo Specchio

“Oh, pensa a come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio! Sono sicura che ci sono delle cose bellissime là dentro! Facciamo che ci sia un modo per passarci attraverso, facciamo che sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia...ma guarda...si trasforma! Sarà facile passare adesso!” Lewis Carroll

Il caso che ho deciso di trattare nella mia tesi di specializzazione non lo ritengo un caso di particolare interesse, se non per noi che vi eravamo coinvolti, il motivo per cui l’ho scelto è l’importanza che ha avuto per me.
Ho scelto questo caso perché è indicativo di un processo di cambiamento che ha iniziato a svilupparsi in me nel corso del training, di ciò che reputo, per me, essere l’insegnamento più prezioso ricevuto, e ciò che, a mio avviso, costituisce il marchio distintivo della Scuola romana di Psicoterapia Familiare, dove ho svolto gli ultimi tre anni di training: l’attenzione e il lavoro sul sé del terapeuta attraverso la connessione emotiva.

Mentre in un primo momento vivevo l’idea e l’illusione di potermi mantenere emotivamente neutra dinanzi alle storie e ai contenuti che le persone portano in terapia, arricchita dal lavoro in training e dai rimandi del mio tutor, mi sono lasciata incuriosire dalle sensazioni che provavo nel rapporto con i pazienti, lasciando che i dubbi e le domande venissero fuori: perché provo quelle sensazioni durante i colloqui con le pazienti? Cos’è fastidio, antipatia ciò che la madre mi suscita? Non ci avevo pensato prima. Ma da dove viene quest’antipatia? Sarà il suo essere cosi poco protettiva con la figlia? Sarà la

madre a meritarsela o sono io che, sbagliando mi permetto di giudicarla? O forse riguarda il mio essere mamma da poco o il mio essere figlia da sempre? La vicinanza che in alcuni momenti sento con la figlia e il misto di rabbia e tenerezza che mi suscita, meglio tenerli per me o devo farne qualcosa? Quando, finalmente, a un certo punto del mio percorso formativo come psicoterapeuta, ho iniziato a pormi queste domande, ecco che “un caso” che seguivo al tirocinio è diventato “il caso per la tesi”.

Un altro motivo per cui ho scelto questo caso è il modo in cui si è incastrato in tutti i cambiamenti degli ultimi anni nella mia vita, strettamente legati al tema dell’essere figlia, essere diventata madre e a quello dello svincolo.

Il mio percorso formativo non è iniziato in questa Scuola, non è stato continuo né lineare, ma molto vario: iniziato in un’altra scuola sistemica, è stato da me interrotto dopo due anni per andare a Torino, a causa delle mie ansie e della mia fretta di trovare un’indipendenza economica e una stabilità che i lavori in Campania nelle comunità non mi garantivano.

Tornata a Napoli, dopo questo periodo lavorativo a Torino ho ripreso la formazione, alla quale volevo rinunciare. Nonostante le incomprensioni con la scuola, ho deciso di continuare il mio percorso in una scuola differente, ma che, per formazione dei docenti, sapevo potesse avere una certa continuità con il tratto di strada già percorso: la Scuola Romana di Psicoterapia Familiare. Qui ho trovato in parte continuità, così come mi aspettavo, ma anche punti di rottura, sicuramente la novità più grande e più

interessante per me è stata il lavoro personale sul sé del terapeuta e il suo utilizzo all’interno della stessa relazione terapeutica. Quest’ultimo anno di training ho frequentato, a causa del lavoro, le lezioni di sabato e domenica con un gruppo diverso da quello con cui ho iniziato il mio percorso alla SRPF. Il mio terzo gruppo.

Sono stata un’apolide. Sono entrata in tre gruppi in maniera trasversale, senza vivere in nessuno tutta la storia e tutta l’appartenenza, in parte mi dispiace essermi persa qualcosa, d’altra parte ho avuto modo di osservare i gruppi di formazione da una posizione lievemente privilegiata e di conoscere diversi docenti e differenti modi di insegnamento e di fare terapia, in questa scuola ho avuto sempre la fortuna di sentirmi sempre bene accolta ed arricchita dalla molteplicità.

L’ultimo anno di training è stato per me particolarmente utile e stimolante. Ho frequentato oltre il numero di ore da recuperare ed il confronto con i colleghi e compagni di questo tratto di strada e con i docenti mi ha aperto ad una modalità di stare nella relazione terapeutica diversa e complementare rispetto a quanto finora da me sperimentato, una modalità attenta alle sensazioni del terapeuta come qualcosa da considerare e su cui riflettere, una fonte di arricchimento per tutti i componenti della relazione terapeutica. Probabilmente c’è una disposizione diversa da parte mia a prendere maggiormente coscienza di parti di me, forse grazie ai tanti cambiamenti avvenuti durante la formazione, che mi ha accompagnato proprio in questi anni di crescita personale, due aspetti che reciprocamente si sono influenzati tenendosi per mano in una spirale.

E’ in questa spirale che “un caso da seguire al tirocinio in co- terapia con il Dott. Vito” diventa “il mio caso per la tesi”, perché per me costituisce il modo in cui ho imparato e mi sto impegnando a stare nella relazione terapeutica. Il mio modo in questo punto della spirale.

 

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