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“NON C’È APPRENDIMENTO SENZA RELAZIONE”

“Non c’è apprendimento senza relazione” è la frase che la dottoressa Centrella mi disse durante un training e che per me rappresenta simbolicamente l’inizio del mio processo formativo personale e di apprendimento. Fino a quel momento aveva dominato una certa diffidenza, il fastidio per la confusione, la distanza difensiva soprattutto verso alcuni docenti. Da quel momento le cose hanno cominciato a cambiare. Ho capito nel tempo perché.

Ricordo la forza con cui mi arrivarono quelle parole. A qualche livello in quel momento devo essermi detta che se non accettavo di essere in relazione non avrei imparato nulla. E a imparare ci tenevo eccome! Devo essermi detta che il rischio faceva parte del gioco. Che se volevo giocare avrei dovuto abbassare le difese.

Non è stato facile. In diversi momenti mi sono sentita molto esposta e fragile e ho avuto la tentazione di chiudermi nuovamente.

Nel tempo però è diventato entusiasmante e bello. E infine mi sono sentita orgogliosa del mio processo, di quanta energia ero riuscita a mettere in gioco e di quanta ricchezza ero riuscita a far tesoro.

Devo tanto alla dottoressa Centrella, che ha rappresentato la porta d’ingresso verso le altre relazioni.

Sono molto grata a tutti i docenti che mi hanno dato tanto in termini di apprendimento teorico ed esperienziale, mi hanno permesso di sperimentarmi in diversi ruoli, di lottare e far pace con parti di me vedendole in loro prima di potermene riappropriare.

Sono felice di aver avuto la fortuna di incontrare proprio il gruppo di colleghi che ho incontrato, e che ha rappresentato una grande occasione di crescita, dentro e fuori la Scuola.

LA RELAZIONE CON ME IN RELAZIONE CON …

 

Sono arrivata a Scuola desiderando di comprendere senza apprendere. E credo che questo atteggiamento non sia distante dalla richiesta che fanno le famiglie che chiedono aiuto di “star meglio senza cambiare nulla”.

In fondo, il desiderio insito in ognuno è di poter essere se stessi. Il punto è se si ha il coraggio e le forze e la voglia di intraprendere la strada che può permettere di arrivarci.

Io per arrivare a me, nel tempo mi ero costruita la strategia “a spirale”. Individuavo il punto di partenza e il punto di arrivo, e poi costruivo una sequenza di cerchi concentrici tra loro collegati che, nella mia immaginazione, mi avrebbero permesso di arrivare alla meta prendendomi tutto ciò che c’era intorno.

Il buono è che ho sviluppato una certa dimestichezza con le cornici, con la complessità, con ciò che “circonda”. Per capire le cose le guardavo da una prospettiva “macro”, attenta alla cosa e al suo contesto, alla cosa e al suo contrario. Ma la complessità va gestita, oltre che presa in considerazione.

Inutile dire che viaggiare “a spirale” è stato spesso un buon modo per perdermi, per non raggiungermi.

Così sono arrivata alla soglia della Scuola con le gambe stanche e con un bagaglio tanto grande e pesante che mi piegava la schiena. Nel mio cammino per conoscere il mondo e me, mi ero avviluppata.

Cominciavo a capire che dovevo togliere per arrivare, e non aggiungere. Ma non avevo alcuna idea di come fare.

Ero alla ricerca di una strada breve che conducesse da me a me. Basta spirali. Basta cornici. Basta distanze.

Ho trovato questa strada nelle relazioni.

Con i docenti, con le colleghe, con le famiglie. E, soprattutto, con me.

Nei viaggi in relazione ho potuto incontrare me e l’Altro, in modo più diretto. Non credo che in passato mi tenessi sempre fuori dalle situazioni e dalle relazioni. Solo che la necessità di tenere il controllo e la ricerca di coerenza mi facevano perdere molto tempo e quella parte di ricchezza intrinseca nel disordine delle cose.

La spirale mi dava modo di arrivare a destinazione molto lentamente e, all’occorrenza, di non arrivarci mai.

La strada breve invece è diretta, è più veloce, ti dà meno tempo di ponderare ed eventualmente di battere in ritirata. Perciò bisogna sceglierla quando ci si sente pronti.

Questa esperienza me la porterò dietro nell’incontro con le famiglie.

Ho molta comprensione per la paura della strada breve da sé a sé. E ho altrettanta comprensione per il desiderio di arrivare.

La soluzione è nella relazione. Mettere vicini questa paura e questo desiderio, dargli spazio, e farli comunicare.

Quello che è accaduto con la famiglia A., in definitiva, è questo. Attraverso la relazione terapeutica, i membri della famiglia hanno potuto cominciare a creare una relazione tra ciò che li teneva fermi e ciò che li spingeva a trasformarsi, come individui e come famiglia.

E riconoscendo, accogliendo e integrando entrambi questi aspetti hanno cominciato a sperimentare nuove possibili configurazioni.

Il bello della relazione terapeutica è proprio questo, che non si propone niente di diverso da ciò che è.

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