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Considerazioni sul "mondo fuori lo studio". Lo psicoterapeuta Sistemico Relazionale in epoca post moderna.

image001Convegno SIPPR Milano 24-25 Maggio 2018

La terapia sistemico relazionale è nata dalla ricerca di risposte per pazienti che vivevano contesti culturali, familiari e politici molto diversi da quelli in cui le osservazioni e i conseguenti interventi dei primi psicoanalisti avevano mosso i loro passi. Nasceva dal bisogno di adeguare le risposte terapeutiche alle caratteristiche psicosociali dei pazienti che in quei contesti e non in altri avevano sviluppato il disagio o la patologia. Oggi, dopo alcuni decenni, il rischio anche per noi diventa quello di sedersi sulle proprie consolidate certezze, su prassi ed interpretazioni nate in momenti e contesti che si stanno scollando progressivamente da quelle in cui i nostri nuovi pazienti vivono.

Dopo il periodo pionieristico in cui forte era l'impatto di questo nuovo e ampliato modo di leggere i significati dei sintomi viviamo una fase in cui il focus é stato piú sul consolidamento talvolta frammentario di sottomodelli e di tecniche specifiche che sul trasmettere la propria forte epistemologia, data spesso troppo per implicita ed in assenza ancora di un apparato teorico forte sul modo generale in cui si sviluppa la patologia, sebbene i contributi di Smith Benjamin e Luigi Canrcrini muovano un grosso passo in avanti. Il terapeuta sistemico-relazionale così viene spesso ridotto ad un terapeuta familiare, perdendo di vista la ricchezza di un modello che è qualcosa di più e di diverso dal setting o dalla convocazione, a maggior ragione in un'epoca in cui non è più un tabù per molti terapeuti di diverso indirizzo vedere le famiglie. Diventa perciò cruciale ricordare che il setting familiare nel modello sistemico nasce da un bisogno di efficacia del trattamento terapeutico che per primi abbiamo colto ma che nel frattempo è diventato patrimonio comune di molti indirizzi. La differenza sta però nel modo con cui si legge quanto avviene in seduta. In tal senso è utile ricordare che già Bowlby alla Tavistock Clinic aveva iniziato a vedere le  famiglie, ma le intuizioni sistemiche erano troppo distanti dalla sua chiave di lettura ed il risultato era certo qualcosa di assai diverso da ciò che la terapia familiare in chiave sistemica è e produce.

In un'epoca sempre più povera di schemi e di riti, se è vero che ci sono maggiori opportunità di definire se stessi in modo più autentico e  complesso, è altrettanto vero che questa grande libertà è più faticosa per i giovani in fase di definizione e non facilita il riconoscersi e l'essere riconosciuti. L'adolescenza, fase per eccellenza di scelta di un'identità e di appartenenze, ha confini sempre più vaghi. Genitori ultraquarantenni di figli undicenni parlano di sé e dei propri coetanei come “ragazzi” e al tempo stesso dei problemi dei figli come comportamenti di adolescenti.

Da un'epoca in cui è stato necessario privilegiare lo “spiegare” la realtà per ricondurla nei termini di una normatività precostituita e rassicurante, il terapeuta sistemico relazionale si trova a far fronte ad una complessità scarsamente riducibile e riconducibile a modelli preformati in cui la narrazione soggettiva diventa prevalente ma anche solipsistica, portando i problemi in una strada senza uscite. Ed è a questo punto che la nostra visione antiriduzionistica e complessa è cruciale per restituire a questo moderno pluralismo (in cui nell'imbarazzo della scelta spesso si accetta ciecamente di aderire a ciò che urla o che brilla di più) potenzialità di ricchezza e di benessere.

Per essere attori di questo circolo virtuoso di integrazione e definizione dobbiamo prima di tutto avere in testa il mondo che resta fuori dal nostro studio ma che fa parte della vita di chi vi entra, influenzandone le possibilità concrete, i sentimenti, le motivazioni. Ciò significa anche ricordare che si è parte di quel coro che i nostri pazienti portano con sé ogni giorno: anche se ci danno del lei ci pensano spesso per nome e diventiamo un pezzetto dì famiglia, una voce interna, con tutte le responsabilità relative. Significa essere sempre consapevoli che non siamo onnipotenti: avere in testa la complessità dell'operare "in vivo" ci ricorda che a volte siamo maghi rivoluzionari e altre possiamo solo provare a spostare le cose di pochi millimetri, sperando di fare quella piccola differenza che ne porta altre nel tempo. Germogli che forse non vedremo crescere ma che nondimeno dobbiamo tentare di seminare ed aiutare a nascere. Significa poter porre l’attenzione in una nuova direzione di ricerca che richiede nuovi strumenti pragmatici e lo sviluppo di “metodologie in prima persona” per poter esplorare l’esperienza vissuta.

Accanto al bisogno di flessibilità e alla competenza tecnica va quindi mantenuta molta attenzione alla consapevolezza che il terapeuta deve avere di sé, del proprio agire e delle logiche terapeutiche che portano alle scelte operative concrete. Se è vero che nel postmoderno, relativo e contaminato mondo in cui ci muoviamo tutto o quasi può aiutare, va detto con chiarezza che non tutto è uguale. Ci sono molte vie, non infinite vie, e solo poche porteranno davvero a riveder le stelle. Dove non ci sono ancora mappe (o sono troppe e confuse) per orientarsi ci resta solo il ragionamento terapeutico che ci muove. Ci resta la possibilità di fare con noi stessi ciò che i pionieri hanno fatto molti anni fa: allargare lo sguardo, per avere nuovamente una visione di insieme, stavolta di ciò che la nostra identità di terapeuti sistemico relazionali significa e comporta tanto nell'operare in ambito clinico quanto nel promuovere questo prezioso accolto culturale nella società che ci circonda.

Bibliografia

  1. Andolfi (a cura di), I pionieri della terapia familiare, FrancoAngeli, Milano, 2002
  2. Bertrando, D. Toffanetti, Storia della terapia familiare, Raffaello Cortina, Milano 2000
  3. Bruni, G. Vinci, M.L. Vittori, Lo sguardo riflesso. Psicoterapia e formazione, Armando editore, Roma 2010
  4. Cancrini, La cura delle infanzia infelici. Viaggio all'origine dell'oceano Borderline, Cortina Editore, Milano 2012
  5. Lombardo, Dialoghi sulla professione. Tra l’essere e il fare, lo psicologo che sarà. Dialogo con Pietro Barbetta, in http://www.alessandrolombardo.org/
  6. Smith Benjamin, Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità, LAS, Roma 1999
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